Pubblicato l’estratto della biografia di
fra Giovanni Battista da Campie

 

Perché pubblicare in estratto la biografia di fra Giovanni Battista da Campie, «servo del Signore» se già si trova inserita in un’opera storica, voluminosa e importante qual è il libro I Cappuccini a Campi Salentina – Tre secoli di storia, fede e cultura? Perché riproporre la figura di un frate cappuccino del remoto passato, con una spiritualità ed una maniera di essere cristiano estremamente intrisa del suo tempo, il secolo XVII?
Questo «scalzatelo cappuccino» è un tassello di un grande mosaico che esce fuori dal quadro, forse perché più grande dello stesso quadro che lo contiene. Fra i cappuccini di Campi Salentina nominati nel libro, «Fra Gio: Battista da Campie laico cappuccino» è il più importante e il più universale; è il frate che emerge tra gli altri del piccolo «casale di Campie» dei secc. XVI – XVII, ma anche tra quelli dei secoli successivi fino ai nostri giorni.         
Peccato che campioti, squinzanesi, trepuzzini, novolesi e salicini abbiano dimenticato ultimamente un uomo che ha camminato per un cinquantennio per le loro strade e forse le case più antiche ancora sentono la freschezza delle sue visite.
Doveva avere una grande carica umana e spirituale questo fraticello dalla «fragil natura» se, quando parlava con i frati e con i secolari «accendeva il cuore di chi l’udiva parlare».
Egli diede lustro a tutta la Provincia e nobilitò «la bassezza della sua nascita con le sue eroiche virtù e preclari esempij»
Si fece frate nel convento di Sant’Elia il 27 febbraio del 1599 (unica data completa che conosciamo della sua vita) e «morì il servo del Signore in S. Elia nel mese di gennaio dell’anno del Signore 1655». Aveva 80 anni.
Certamente fra Giovanni Battista da Campie «divoto e buon religioso» o «servo di Dio», come per undici volte lo chiama l’annalista che raccolse due anni dopo la sua morte le testimonianze sulla sua vita e «singola santità», non ha il ruolo del grande santo destinato da Dio a dare un impulso nuovo alla vita ecclesiale, egli fa parte di quella “santità comune”, feriale, giornaliera, anonima; quella che vive in maniera grande le cose piccole e in modo straordinario la ferialità.
Vivere in modo straordinario la ferialità dell’essere cristiano cambia la vita, cambia le relazioni, cambia il rapporto con gli uomini e con le cose, rende buoni, cordiali, amorevoli, santi e più vivibile la vita di ogni giorno. Questa santità feriale forse è il messaggio attuale di questo “santo frate, grande amico di Dio” che, per essere stato amico di Dio è diventato amico degli uomini.
(dalla presentazione di fra Francesco Monticchio)

 

A mo’ di nota a piè di pagina
Nel quadro del “cappuccino orante” che si conserva nella sacrestia della Parrocchia di S. Francesco a Campi Salentina, c’è qualcosa di strano.
La figura del frate orante viene riprodotta nella copertina del presente estratto.
 
Della tela non se ne conosce l’autore, la provenienza, il secolo in cui è stato realizzato, il soggetto rappresentato.
Certo è che la sua rappresentazione iconografica non coincide con quella di nessun altro santo o beato cappuccino.
La mancanza della chierica esclude che l’autore voglia rappresentare un frate sacerdote.

Chi è questo frate cappuccino anonimo?
E’ solo un quadro allegorico?


Lo abbiamo associato alla figura del santo frate “anonimo e feriale” fra Giovanni Battista da Campie, servo del Signore.

Il padre Salvatore da Valenzano nel suo libro “I cappuccini nelle Puglie” segnalò, nei primi anni del ‘900, come ancora viva la memoria e la venerazione popolare verso questo frate.

La domanda viene spontanea: come può essersi mantenuta viva la memoria senza nessuna rappresentazione pittorica?
Questa tela lo rappresenta?

Se fosse più bello, non se ne abbia a male!
Ma vari particolari della tela fanno pensare a lui.
Innanzitutto l’ambiente in cui è ritratto in orazione: “l’horto”: “l’amico di Dio… zappava ogni giorno nell’horto con tanta diligenza che così prima di andare alla cerca, come dopo ritornato da quella, quantunque stanco e lasso par che non si teneva contento se non andava a zappare nell’horto…”
E poi il suo piede nudo e la sua statuarietà in preghiera, molto fa pensare a quanto di lui scrisse l’annalista cappuccino fra Francesco da Pulsano: “…lasciando le suole, andò scalzo tutto il tempo di sua vita, …  e nelle nevi e nelli ghiacci, andando sempre a piedi nudi.
…Il servo di Cristo, vegliava molto nell’orattione… sempre orava in ginocchio le due o tre hore… senza punto muoversi, come se fusse stato una statua di legno o di marmo… non fu veduto giamai appoggiarsi agli sgabelli mentre orava”.

Questa nota a piè di pagina è una pietra gettata nello stagno…

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